La Scuola medica salernitana, crocevia di una cultura “mediterranea”. Dalle “Pandette” di Matteo Silvatico alla “riscoperta” de “Il Giardino della Minerva”
La riscoperta del giardino della Minerva di Matteo Silvatico: un patrimonio culturale per l’Italia e per l’Europa.
Dall’anno 2000, a Salerno, è stato aperto al pubblico il Giardino della Minerva, che restituisce alla Scuola medica salernitana l’importanza che merita in quanto parte del patrimonio culturale collettivo, italiano ed europeo. L’apertura del Giardino è stata resa possibile grazie all’individuazione di un luogo privilegiato, il Viridarium di Matteo Silvatico. In esso, come in analoghe sedi contigue, operarono e tennero scuola illustri personalità della medicina medievale, la quale, a sua volta, esercitò a lungo un’influenza considerevole, soprattutto, ma non soltanto, nell’area del Mediterraneo. La rilevanza del ritrovamento e del restauro del Viridarium è stata tale da rendere possibile un gemellaggio prestigioso, come quello concluso, nel 2011, con l’Università di Uppsala, che vanta il celebre Linnéträdgården. Una riscoperta che merita di essere narrata e valorizzata.
Il Giardino della Minerva si trova nel centro antico di Salerno, in una zona che nel Medioevo venne denominata Plaium montis. Più precisamente, tale area si sviluppa lungo lʹasse degli orti cinti e terrazzati che dalla Villa comunale salgono, passando intorno al torrente Fusandola, verso il Castello Arechi.
Il Viridario appartenne alla famiglia Silvatico sin dal XII secolo, come testimonia una pergamena conservata nellʹarchivio della Badia di Cava deʹ Tirreni. In seguito, nel primo ventennio del 1300, il maestro Matteo Silvatico vi istituì un Giardino dei semplici, antesignano di tutti i futuri orti botanici dʹEuropa.
Alla fine degli anni Ottanta del ʹ900, lʹidea generale era quella di trovare il luogo adatto a celebrare gli antichi fasti della Scuola medica salernitana, un posto, cioè, dove si parlasse della botanica legata allʹantica medicina medioevale.
Paradossalmente, questa idea fu concepita da due persone, benché indipendentemente una dallʹaltra: lʹagronomo Luciano Mauro e lʹarchitetto Enrico Auletta, entrambi paesaggisti iscritti allʹA.I.A.P. (Associazione Italiana Design della Comunicazione Visiva). I due paesaggisti illustrarono il proprio progetto a potenziali sponsor e, nell’occasione, ebbero modo di conoscersi. Dall’incontro iniziò una collaborazione per un unico, “grande” obiettivo, la realizzazione de Il Giardino della Minerva.
In tale prospettiva, il primo nodo da sciogliere riguardava l’ubicazione del Giardino: si poneva cioè il problema di individuare la sede ideale per un orto botanico che riportasse alla luce lʹantica e travagliata storia della Scuola medica di Salerno, ancora in buona parte ignota. Se, infatti, non si fosse riusciti a rintracciare il luogo in cui realmente operavano nellʹetà medievale gli antichi medici salernitani il progetto del Giardino della Minerva avrebbe rischiato di non decollare. Cosa tanto più probabile, peraltro, in assenza di fonti storico‐ archeologiche cui far riferimento.
Dopo unʹattenta analisi dei documenti reperiti, condotta dagli archeologi Sergio Marino e Paola Valitutti, emerse la presenza, nel centro storico di Salerno, di un antico Viridario di un medico salernitano del XIV secolo, Matteo Silvatico, tra lʹaltro autore di un importante trattato scientifico sulle erbe e sul loro utilizzo in campo medico, lʹOpus Pandectarum Medicinae, più semplicemente chiamato Pandette.
Non si trattava, in effetti, di una vera e propria scoperta. Già anni addietro, infatti, gli stessi Enrico Auletta e Luciano Mauro, dopo aver scattato molte fotografie, avevano notato proprio nel centro storico di Salerno, nel vecchio quartiere di Plaio Montis, un giardino con una sorta di scalea pergolata e con una grande fontana, il tutto in un grande stato di abbandono, ricoperto da vegetazione: un luogo un poʹ inaccessibile, che aveva da sempre destato grande curiosità nei due paesaggisti.
Quando Enrico Auletta e Luciano Mauro entrarono per la prima volta nel giardino, si resero conto della qualità paesaggistica del sito, ma la “grande” scoperta fu unʹaltra: quel giardino era esattamente il Viridario di Matteo Silvatico!
Infatti, fu ritrovata una fontana adornata con un antico mascherone, una Gorgone con dei serpenti in testa, elemento ippocratico, immersa in un grande esemplare di Colocasia, pianta di cui non erano attestate presenze a Salerno alla fine degli anni Ottanta del ʹ900.
Scrive Matteo Silvatico nel suo manoscritto Liber cibalis et medicinalis Pandectarum:
“Et ego ipsam (culcasiam) habeo Salerni in viridario meo, secus spectabilem fontem.”
Matteo Silvatico
Una singolare coincidenza, dunque, successivamente confermata da ulteriori studi archeologici.
Come accennato, la “riscoperta” del Giardino della Minerva riportò alla luce, soprattutto dal punto di vista botanico, una storia poco conosciuta, quella della Scuola medica salernitana, ovverossia di un centro medico che, seppur non istituzionalizzato, fu crocevia di una cultura mediterranea, in cui si fondarono – stando alla leggenda di fondazione della Schola ‐ le conoscenze latine, greche, arabe ed ebraiche. Un centro medico, infine, che nel 1231 fu destituito da Federico II del suo “primato” di prima università nel mondo Occidentale.
Tale primato fu tuttavia riconosciuto e celebrato nel 2011 con un prestigioso gemellaggio tra il Giardino della Minerva di Salerno, antico Viridario di Matteo Silvatico, e lʹHortus Upsaliensis, il giardino‐accademia di Uppsala in Svezia, oggi denominato Linnéträdgården, che è stato libro di testo vivente in medicina e botanica per Carl von Linné, più comunemente noto come Linnaeus, ed i suoi alunni. Entrambi i giardini sono stati essenziali per lo sviluppo di metodi e teorie, ma secondo criteri diversi. A Salerno, Matteo Silvatico classificò le piante sulla base delle rispettive proprietà medicinali, ad Uppsala, Carl von Linné utilizzò il parametro delle caratteristiche esteriori.
Matteo Silvatico, vissuto a cavallo tra il tredicesimo e il quattordicesimo secolo, nella sua opera dal titolo Opus pandectarum medicinae per la prima volta raccolse tutto il sapere medico‐botanico sulle piante allora conosciute, perfezionando lʹantico metodo di classificazione basato sulla cosiddetta “dottrina umorale”. Egli, inoltre, per primo assegnò al giardino il ruolo del moderno orto botanico, trasformandolo in luogo didattico e di sperimentazione.
Carl von Linné, per parte sua, dedicò la sua vita a descrivere e classificare la diversità biologica. Inventò inoltre il sistema di denominazione “binomio”, che usiamo ancora oggi, elaborò un vocabolario standardizzato in latino e il formato per la descrizione di piante e animali. Tra le sue opere principali, lo Specie Plantarum e il Systema Naturae, in cui tutti gli organismi conosciuti vengono catalogati e descritti. Questi libri ancora oggi costituiscono la base essenziale per la nostra denominazione delle specie di origine vegetale e animale.
Proprio nell’intento di dar risalto a tale, tanto involontario quanto singolare, parallelismo tra i due giardini, il Giardino della Minerva di Salerno e il Linnéträdgården di Uppsala hanno ospitato, rispettivamente dal 14 maggio al 12 giugno 2011 e dal 1 luglio 2011 al 30 settembre 2011, due esposizioni omologhe. Queste ultime, realizzate nell’ambito del progetto “Terra delle Risonanze”, hanno suggellato le affinità tra i due giardini, un rapporto sottolineato soprattutto dal collegamento storico‐scientifico delle figure dei due botanici, dallʹeredità del loro pensiero e dalla specificità delle due culture.
“Gate to Paradise” ‐ questo il nome scelto per la mostra da Magnus Lindén, direttore dellʹorto botanico di Uppsala, e dal direttore dellʹorto botanico di Salerno, Luciano Mauro ‐ oltre a rivelare le numerose interconnessioni tra antico e moderno, tra natura, arte, scienza e tecnologia, ha dato il giusto risalto al ritrovamento dellʹantico mascherone, il quale è stato consacrato quale testimonianza di una prestigiosa storia, fatta di incontri di culture e di personaggi importanti: Garioponto, Pietro Clerico, Alfano I, Costantino Africano, Trotula de Ruggiero, Pietro da Eboli, Giovanni Afflacio, Nicolò Salernitano, Saladino dʹAscoli, Giovanni Plateario, Niccolò da Reggio, Ruggero Frugardi, Giovanni da Procida, Abella Salernitana, Costanza Calenda, Matteo Silvatico, Rebecca Guarna, Mercuriade, Vincenzo Braca.
Il Giardino della Minerva: dal restauro alla gestione
Il ricordo di Matteo Silvatico, medico e botanico vissuto a cavallo tra il tredicesimo e quattordicesimo secolo, ha dato lʹavvio ideale a uno studio e alla successiva proposta della restaurazione a Salerno del suo orto botanico. L’idea era quella di riprendere lʹopera del Silvatico, risalente al primo ventennio del 1300, e creare, allo stesso tempo, un luogo di ricerca sullʹevoluzione del paesaggio e del giardino mediterraneo.
Volendo ricostruire sinteticamente la storia del giardino, occorre ricordare che intorno al primo ventennio del XIV secolo, il reggente napoletano Roberto dʹAngiò affidò al magister Matheus Silvaticus in phisica profexor lʹincarico di costruire due orti botanici, uno a Castel Nuovo, in provincia di Napoli e un altro a Salerno. Funzione di entrambi questi orti sarebbe stata quella di ospitare le lezioni e gli esperimenti dei maestri della Scuola medica.
In un primo momento, non è stato possibile essere certi sullʹubicazione dellʹantico Orto salernitano, ma, successivamente, dopo lʹattenta analisi di una serie di documenti da parte degli archeologi Sergio Marino e Paola Valitutti4, si è riusciti a localizzarlo nel quartiere di “Planium montis” (alle falde del monte, che a Salerno è la collina “Bonadies”, intorno alla quale si è sviluppata la città) e più precisamente nellʹarea del giardino detto “della Minerva”, immediatamente a valle del monastero di S. Nicola della Palma, oggi ex Orfanotrofio Umberto I. Una singolare coincidenza è il rigoglioso vegetare in questo orto, presso una delle peschiere, di una Colocasia (Colocasia antiquorum), proprio la pianta che Matteo Silvatico, nel suo manoscritto Liber cibalis et medicinalis Pandectarum, ricorda di aver coltivato nel suo giardino:
“Et ego ipsam (culcasiam) habeo Salerni in viridario meo, secus spectabilem fontem.”
Matteo Silvatico
Nel 1839, fu istituito a Salerno, nei pressi di Porta Rotese, un orto agrario dellʹestensione di circa un ettaro. La sua finalità era quella di ricevere semi adatti al territorio provinciale dallʹorto botanico centrale di Napoli, di coltivarli e distribuirli a quanti ne facessero richiesta. Si trattava, quindi, di un interessante lavoro di raccolta e selezione di varietà agricole con caratteristiche utili: una attività in difesa della diversità biologica ante litteram.
In virtù della speciale attenzione che la città di Salerno dedicava allo studio e alla coltivazione delle piante, per scopi di carattere sia scientifico che economico, essa si caratterizzò, a partire dalla fine degli anni Ottanta del ʹ900, come un polo dʹindiscusso valore per la realizzazione di nuovo e moderno centro botanico, in cui fosse incluso il Viridario di Matteo Silvatico e destinato ad accogliere anche il Centro universitario di studi e ricerche per il giardino e paesaggio mediterraneo, successivamente istituito.
Il progetto dellʹOrto botanico “Matteo Silvatico”, successivamente denominato Giardino della Minerva, fu presentato nel convegno “Pensare il giardino”, tenutosi a Salerno nel novembre del 1991, dai più volte citati Luciano Mauro e Enrico Auletta. Lʹidea avanzata dai due studiosi era quella di creare un orto botanico composto da due sezioni, di cui una dedicata specificamente alle piante officinali conosciute e utilizzate dal grande medico salernitano, e unʹaltra destinata ad illustrare i caratteri dellʹambiente mediterraneo, sia naturale che antropico, e finalizzata sia alla conservazione che alla sperimentazione in ambiti e su scale diverse.
Ha scritto in proposito Luciano Mauro nella sua proposta progettuale esposta nel convegno Pensare il giardino del 1991:
“[...] Bisognerà quindi – a nostro avviso – lavorare su alcune «idee guida» quali ad esempio lʹindividuazione e lo studio di specie spontanee che abbiano caratteristiche tali da arricchire il catalogo delle opportunità vegetali. Nel diciannovesimo secolo, il prof. Michele Tenore (1780‐ 1861), celebre botanico napoletano, intravedendo la enorme potenzialità dʹarredo di molte delle nostre essenze vegetali, predispose un elenco numerosissimo di specie da poter utilizzare come ornamentali. Un simile lavoro, arricchito e reso attuale, stimolerebbe le migliori ditte vivaistiche meridionali a diversificare la produzione di piante, garantendo un maggior assortimento vegetale.
Unʹaltra destinazione di attività per il centro potrà essere il censimento e lo studio dei siti caratteristici dellʹambiente mediterraneo. Se si superano gli angusti limiti dello spazio disponibile e della concezione classica dellʹOrto Botanico quale luogo di catalogazione delle piante, il centro potrebbe avviare una campagna di segnalazione dei biotipi e dei paesaggi significativi del territorio mediterraneo [...].”Luciano Mauro
Come accennato, il Giardino della Minerva si trova ad oggi nella zona denominata nel Medioevo Plaium montis, ovverossia in un’area che, per diversi motivi, e non per ultimo per lʹorografia, non consente un facile accesso. Essa ha conservato i suoi spazi verdi, al contrario del resto della città antica, e si è preservata dall’urbanizzazione selvaggia, presumibilmente scoraggiata dalle devastazioni dellʹalluvione del 1954, che pure ha aggredito con violenza la vicinissima zona di Madonna del Monte.
A tal proposito, ha affermato Enrico Auletta durante il sopra citato convegno:
“[...] Una zona di verde storico, dunque, di giardini storici e di persistenza dellʹhortus conclusus. Lʹarea, già vincolata nella parte al di sopra della linea ferroviaria secondo la legge 1497/39, ha in atto una richiesta alla Soprintendenza BAAAS, presentata dal gruppo di studio mediante un fascicolo di documentazione, di estendere il vincolo, alla parte propriamente "storica", secondo la legge 1089/39. Una zona, dunque, per la quale, secondo le indicazioni delle Carte sui giardini storici, e soprattutto secondo le leggi del buon senso, bisogna ricercare usi compatibili che, mentre permettano alla collettività di goderne i benefici, al contempo ne rispettino e salvaguardino, con spirito propositivo, le caratteristiche più proprie.
Siamo infatti in presenza di risorse, in atto o potenziali, a cominciare dalla semplice risorsa territorio, che una volta sprecate non concederanno ripensamenti: in rapporto ad altre parti della città, le potenzialità di tali aree sono infatti ragguardevoli, ed evidente è la vocazione a divenire contesto storico‐didattico‐scientifico, legato alla botanica e al ricordo della Scuola Salernitana [...]”Enrico Auletta
Quanto alla localizzazione del Viridario, oggi in parte localizzato nellʹarea che costituisce il Giardino della Minerva, essa si può identificare nel più sopra menzionato quartiere di “Plaio Montis”, dove maggiormente operava la famiglia dei Silvatico, in uno scorcio comprendente circa tre secoli di vita vissuta, tra incarichi pubblici e attività privata.
Tra le fonti che concorrono a far luce sulla localizzazione del Viridario, cinque pergamene che provengono dalla Badia di Cava deʹ Tirreni confermano la presenza dei Silvatico:
- nella prima, del 1114, arca XXV n. 110, compaiono Pietro il Giovane, Giovanni e Gaita;
- lo stesso Pietro ricompare in un atto del 1139;
- dalla terza, del 1147, abbiamo nuovamente notizie di Pietro, Giovanni e Gaita “quae dicitur Salvatica” convenuti dinanzi al giudice Giovanni per una traditio medietatis di alcune case lignee situate in una terra di pertinenza del monastero di Cava, al di fuori di Salerno, “in loco Bosanola”;
- nel 1152 è ancora documentata la presenza di Pietro alla Badia di Cava “integram mediatatem [...] de omnibus lignaminibus et edificiis que constructa sunt in terri ipsi monasterio pertinentibus foris hac predicta civitate in loco Bosanola”, a ovest di una via pubblica;
- nel 1158 Pietro ricompare, come Pietro Silvatico detto Giovine, in una vertenza di carattere possessorio tra i coniugi Ioannaccio e Gaita per una terra sita “intra Salernum in Plaio Montis, subsus et prope Monasterium San Nicolai, quod de la Palma dicitur”.
Sappiamo inoltre che Matteo Silvatico procedette, nel 1340, ad una donazione di una casa in città, “nella piaggia del monte” a beneficio del monastero di S. M. della Porta.
Altra notizia interessante è reperibile nel Codex Diplomaticus Salernitanus del secolo XIII, anno 1298, in cui, in un censimento delle rendite della curia, voluto dal re, compare tra le botteghe “apotheca una heredum Mathei Selvatici”, sita in “Ruga Corbiseriorum”. Difficile precisare la destinazione di questa bottega, ma, sulla base di notizie indirette, reperite in altre fonti dell’epoca, risulta verosimile l’ipotesi che si trattasse di una farmacia, giacché altre fonti coeve documentano che, dal XIV secolo, il titolo apothecarius prese ad indicare la figura del farmacista. Più precisamente, Goffredo da Nucco, anchʹegli medico salernitano, è citato con il doppio titolo di apothecarius et speciarius, mentre, nello stesso periodo, sui registri angioini Pietro da Salerno viene indicato col titolo di herbuarius, ben distinto dallo speciarius. Il De Renzi, al riguardo, compara la figura dellʹherbuarius con quella del “botanico deʹ tempi posteriori”, raccoglitore e coltivatore di erbe.
Diversamente, con specifico riferimento al giardino, dall’opera di Silvatico, intitolata Opus pandectarum medicinae, ricaviamo una prima descrizione:
“[...] Ed io ho una colocasia, a Salerno, nel mio giardino, presso una fonte cospicua.”
Matteo Silvatico
In questo spazio di straordinario valore culturale, oggi identificabile, appunto, nell’area del Giardino della Minerva, erano coltivate alcune delle piante da cui si ricavavano i principi attivi impiegati a scopo terapeutico. Matteo Silvatico vi svolgeva, inoltre, una vera e propria attività didattica, mostrando agli allievi della Scuola medica le piante, precisandone nome e caratteristiche (Ostensio Simplicium). Il giardino medievale, nel corso d’una recente campagna di indagini archeologiche, condotte dai più sopra menzionati Sergio Marino e Paola Valitutti, è stato rinvenuto a circa due metri di profondità, sotto l‘attuale piano di calpestio.
Ha dichiarato Paola Valitutti in unʹintervista del 2009, tratta dal documentario Il Giardino della Minerva:
“Prima che iniziassero i restauri del Giardino, abbiamo operato dei saggi archeologici sotto la direzione della locale Sovrintendenza. La tecnica utilizzata è stata una tecnica propriamente di archeologia dei giardini, per cui sono state fatte poi analisi dei micro e macroresti vegetali; anche, poi, le tecniche adoperate sono particolarmente legate allo scavo del giardino e abbiamo avuto delle interessanti risposte: il muretto e queste aiuole erano coperte perché il livello si era innalzato di parecchio. Bisogna considerare che a Salerno il livello della città romana è a otto metri sotto lʹattuale piano di calpestio [...]. Allʹinterno del Giardino, abbiamo trovato allʹinizio, subito dopo lo «scotico» superficiale dei primi cinquanta centimetri, il sistema delle aiuole, così come frammenti della pavimentazione, che è stata poi ripristinata, in coccio‐pesto. Il livello medievale, diciamo il livello di Matteo Silvatico, è apparso a due metri e mezzo al di sotto dellʹattuale piano di calpestio. Quali sono stati gli indicatori? Gli indicatori sono stati i ritrovamenti di materiale e, soprattutto, di ceramica, riconducibili alle classi ceramiche prodotte tra il tredicesimo e quattordicesimo secolo. E quindi quelle ci hanno aiutato a datare lo strato [...].
Nei vari livelli, lungo tutti i cinque livelli del Giardino, abbiamo operato dei saggi archeologici, abbiamo trovato in vari punti canalizzazioni precedenti: una prima canalizzazione, che è comparsa subito, quindi, più o meno a quaranta‐cinquanta centimetri sotto il piano di calpestio, canalizzazioni in coppi, che collegavano un poʹ tutto il Giardino. A un livello più profondo, invece, è uscita una canalizzazione, sempre realizzata in coppi di cotto, però, completamente rivestita in malta, che collegava e portava acqua, probabilmente, in varie parti del Giardino. Lʹanalisi, invece, dei micro e macro‐resti, da cui speravamo di avere indicazioni sulle piante, in realtà, non ha dato grandi risultati perché il Giardino, oltre alla diverse «frequentazioni», di cui lʹultimo proprietario è Capasso, ma, precedentemente cʹè il Barone del Plato, insomma, varie persone che hanno operato allʹinterno del Giardino, ha avuto gli ultimi due utilizzi che hanno sconvolto molto la situazione: come ospizio e, poi, come serre comunali.”Paola Valitutti
Dalla testimonianza di don Diego del Core risulta inoltre che nel 1666: “Fe compra libera di una casa palazziata con giardini... la casa con giardinetto fu restaurata e accomodata e resa abitabile”. Da questo stesso atto notarile si ricava peraltro una delle prime descrizioni del terrazzo e del giardino:
“Vi è una loggia parte coperta a lamia a vela sostenuta da pilastri e parte scoperta e pavimentata attorno, coi suoi pezzi d’astrico del quale si gode il mare e i monti circonvicini, con una fontana in destra di essa con acqua perenne [...] vi è un muro che regge la fontana, ma che è malmesso e potrebbe crollare danneggiando la loggia [...] in esso vi è una porta che con sette gradi si cala nel giardino il quale consiste in un luogo piano, ha due piedi di fico, due di cetrangolo e vite che facevano pergola sopra otto pilastri di fabbrica, ma presente si vedono per terra perché sono marciti i legnami che formavano la medesima, altri pilastri parte sono cascati e parte lesionati.”
Diego del Core
Viene menzionata anche la peschiera e la scala che conduceva al secondo livello del giardino, ove risulta si trovassero altri alberi di fico ed una fontana che alimentava la vasca sottostante.
Le fonti sopra citate rendono quindi noto che, nella prima metà del Seicento, la proprietà, nonostante i molti guasti, mostrava già l‘aspetto che attualmente connota il luogo.
Ultimo proprietario fu il professor Giovanni Capasso che, grazie all‘interessamento dell’avvocato Gaetano Nunziante, presidente dell‘Asilo di Mendicità, donò nell’immediato secondo dopoguerra l’intera proprietà a tale benefica Istituzione.
Il progetto presentato nel novembre del 1991, a Salerno, durante i lavori del più volte citato “Pensare il giardino”, è stato poi finanziato e realizzato nel 2000 dall’Amministrazione Comunale, attuale proprietaria del bene, utilizzando le provvidenze del programma europeo Urban.
Ciò che oggi, al termine dei lavori di restauro, partiti nel 1999 e terminati nel 2000, appare evidente al visitatore è un’interessante serie di elementi risalenti al periodo compreso tra il XVII ed il XVIII secolo. Tra questi, il più caratterizzante è una lunga scalea, sottolineata da pilastri a pianta cruciforme, che sorreggono una pergola di legno.
La scalea, che collega ed inquadra visivamente i diversi livelli del giardino, è costruita sulle mura antiche della città e permette un’ampia e privilegiata visione del mare, del centro storico e delle colline. Un complesso sistema di distribuzione dell’acqua, composto da canalizzazioni, vasche e fontane, una per ogni terrazzamento, denota la presenza di fonti cospicue che hanno permesso, nei secoli, il mantenimento a coltura degli appezzamenti. Il sito è inoltre dotato di un particolare microclima, favorito dalla scarsa incidenza dei venti di tramontana e dalla favorevole esposizione, che, ancora oggi, consente la coltivazione di specie vegetali esigenti in fatto d’umidità e calore.
Il microclima particolare del Giardino della Minerva è reso possibile da quattro fattori fondamentali, come sostiene Luciano Pellecchia, giornalista del settore floreale:
“Essi sono:
1) Lʹesposizione. Lʹorto è esposto a sud, quindi direttamente verso il sole per catturare lʹenergia. La particolare posizione e lʹabbondanza dʹacqua fanno sì che lʹorto abbia un microclima particolarissimo;
2) La protezione dai venti freddi. A nord lʹorto è protetto dal monte Bonadies e ogni muro dei terrazzamenti è un ulteriore paravento che evita al vento freddo di arrivare alle piante;
3) Lʹinclinazione. Lʹinclinazione del Giardino della Minerva permette, soprattutto dʹinverno, la cattura di energia da restituire sottoforma di calore alle piante durante la notte. Si creano zone che raccolgono i benefici del sole e si allargano, quindi, gli spazi di coltivazione. I raggi arrivano così prima alla vite, poi al limoneto e alle pergole di castagno. Il principio ricalca quella che è la condizione in cui si ritrovano gli agrumi coltivati nella Costiera Amalfitana. Dʹestate i raggi del sole cadono perpendicolari al terreno e coprono una data superficie; dʹinverno, invece, i raggi solari cadono in modo meno perpendicolare, quindi, la stessa quantità di energia viene distribuita su una superficie maggiore: vuol dire che, a parità di energia che arriva, in inverno abbiamo il doppio della superficie irradiata rispetto allʹestate e, quindi, il calore risulta dimezzato. Le pergole di castagno, poi, non hanno altra funzione che creare una zona coperta, oltre ad avere una produzione sulla pergola stessa. Tutto ciò che succede al di sotto è mutuato, assolutamente, dalla cultura araba: quando in estate il sole è alto, la pergola funziona da ombreggiamento e, quindi, al di sotto si possono avere coltivazioni con poco impiego dʹacqua; invece, in inverno, quando il sole è molto basso,i raggi riescono a penetrare fino in fondo e, quindi, al di sotto della pergola cʹè una produzione orticola continua. Un altro fatto importante sono i muri che in inverno,come le superfici piane in estate,prendono e catturano il calore del sole. Quindi, in inverno, durante il giorno il sole basso carica di calore le pareti retrostanti ogni terrazzamento, invece, di notte, questo calore viene ceduto alle piante;
4) La presenza di acqua. Quarto e ultimo fattore, che rende particolarmente felice la coltivazione di una gamma così estesa di piante, è la presenza di molta acqua. La particolarità architettonica e paesaggistica di questo giardino è data proprio dal sistema delle acque: ogni livello ha una sua peschiera che anticamente serviva, oltre che come arredo ed elemento di arredamento, per irrigare i vari terrazzamenti. Su ogni livello ci sono peschiere e sistemi di canalizzazione per terra e nei muri delle aiuole, tali sistemi rimandano ai modelli di canalizzazione orientale, in particolar modo del mondo arabo, in quanto Salerno aveva molti contatti con lʹOriente. Tutta lʹacqua, che è a disposizione del giardino, è superficie evaporante quindi, quando altrove in estate si ha aria asciutta, qui cʹè quella quantità di umidità necessaria anche a piante che altrimenti dʹestate non potrebbero sopravvivere,almeno alle nostre latitudini. Basta fare una passeggiata nel Giardino della Minerva e guardare con occhi da botanico quello che cʹè a livello vegetale: ci si rende conto che deve fare più caldo rispetto alla media in inverno ed essere meno asciutto rispetto alla media in estate.
Questa è la spiegazione del perché, in maniera consapevole o inconsapevole, questo sito sia stato scelto a suo tempo per la coltivazione di una gamma così ampia di erbe.”
Luciano Pellecchia
In sintesi, stando ai dati finora raccolti, è lecito credere che nellʹambito della Scuola medica salernitana fu costituito un Orto botanico che a tutt’oggi può essere considerato come il più antico orto universitario, e che potrebbe ancora avere una qualche virtualità, se le vicende umane non ne avessero decretato una precoce fine.
Viceversa, ad essere attualmente accreditato come il più antico orto universitario è lʹOrto di Padova, nato per decreto del Senato della Repubblica veneta il 29 giugno 1545. Nel suo atto di fondazione si legge che lʹOrto fu voluto da studenti e docenti per avere “in Padoa un luogo idoneo” nel quale poter acquisire più facilmente e approfonditamente la “scientia” delle piante medicinali “con il senso et con la investigazione”. Coltivazione, ostensione, osservazione, studio, sperimentazione sono dunque le funzioni che fin dal loro nascere caratterizzarono gli orti botanici, stupende espressioni, tipicamente italiane, di un rinascimento filosofico‐scientifico‐naturalistico.
Ma ancor più stupefacente è il fatto che, considerando le attività dei mille e più orti botanici sparsi per il mondo, inequivocabilmente appare che caratteristiche e funzioni non siano cambiate dopo oltre quattro secoli dalla loro ideazione.
Ma, cosʹè oggi un orto botanico?
Oggi un orto botanico è museo, laboratorio, scuola. Infatti, in questi primi anni d’attività gestionale (2004‐2011) del Giardino della Minerva, sotto lʹattenta direzione di Luciano Mauro, l’obiettivo principale al quale si è puntato è stato quello di costruire le premesse per la realizzazione di un’istituzione scientifica collegata allo studio delle scienze botaniche, ovvero un Orto botanico preminentemente didattico dedicato alle conoscenze floristiche della Scuola medica salernitana, sul modello del Chelsea Physic Garden di Londra, lavorando, contestualmente, al miglioramento delle intrinseche qualità paesaggistiche ed ornamentali del sito.